Per il nostro appuntamento settimanale dedicato al Tutoring Universitario, oggi voglio parlarti di come una studentessa universitaria e io abbiamo messo Ansia fuori dalla porta (letteralmente!) per lasciare spazio allo studio consapevole.
Quante volte ci siamo sentiti dire “Mamma mia! Sei troppo ansios*, mi metti ansia!”?
Oppure, ti è mai capitato di pensare che l’ansia era talmente forte da non riuscire a permetterti di concentrarti per studiare o ripetere?
Alzi la mano a chi è successo almeno una volta. ?♂️?♀️
Sì, è successo anche a me. ?
Ecco, c’è questa convinzione condivisa un po’ da tutti che l’ansia sia una caratteristica della nostra persona e che, da “soggetti ansiosi”, possiamo mandare a rotoli le nostre attività, studio ed esami compresi.
Infatti, per molti l’ansia è quella parte ben radicata in noi, come un profumo che indossiamo, Anxiel n° 5, che lascia una bella scia quando passeggiamo… oppure è l’etichetta stampata in fronte “Pericolo: Soggetto Ansioso”.
Posso dirlo? Che pal*e!

Tutto questo che effetto ha sulle nostre esperienze quotidiane?
E visto che siamo qui per parlare di studio universitario: che effetto ha questa convinzione sul nostro processo di studio? E sul prossimo esame della sessione estiva? E sulla laurea?
Non è raro dire o sentire “No ti prego non dirmi niente che già sono ansiosa di mio, poi se mi riempi di domande sul programma… peggioro ancora di più! Mi verrebbe voglia di mollare tutto e addio!!”
Non ti sembra una visione abbastanza nefasta?
Eppure ce ne sono di studenti che fanno affermazioni simili.
Anziché vederci come persone problematiche, ansiose, potremmo pensare a noi come persone separate dall’Ansia e che, a sua volta, Ansia sia separata dalle nostre caratteristiche stabili (che poi… Capire cosa di noi è stabile è una gran bella sfida, eh!). Potremmo pensare o immaginare Ansia come un oggetto o un animale o una persona, e non per forza come una caratteristica interna alla nostra persona, né un modo di essere. In un articolo recente (“Cara Ansia ti scrivo… lettera di uno studente universitario”) spiego come poter pensare ad Ansia come una cara amica. Oggi voglio raccontarti, come ti scrivevo più su, come abbiamo fatto per metterla alla porta, lasciando spazio allo studio consapevole.

Loredana era una studentessa all’ultimo anno di un corso Magistrale. Le mancava l’ultimo esame (già tentato due volte) e una tesi quasi conclusa. Da un paio di mesi era bloccata perché, dopo essere stata bocciata, si sentiva avvilita. Riferiva di essere ormai rassegnata al fatto di essere ansiosa e confidava in un’ultima “botta di C_ _O” per superare “lo scoglio” e arrivare alla tanto agognata laurea.
Durante uno degli incontri di Tutoring, Loredana non riusciva a gestire le informazioni, a ricordare i concetti che aveva addirittura messo su una mappa concettuale in A3.
Chiesi a Loredana se questo senso di avvilimento fosse stato, in qualche modo, collegato all’ansia presente nella sua vita. Mi disse che li immaginava a braccetto: si presentavano spesso assieme. Allora chiesi a Loredana di immaginare ancora una volta Senso di avvilimento e Ansia insieme, e di pensare a loro come un oggetto, una persona o un animale, qualsiasi cosa le venisse in mente! Loredana rise… e pensò a Senso di avvilimento e Ansia come una coppia di due bambini discoli.
Seguendo l’immaginazione e i pensieri di Loredana, quei due bambini discoli erano lì nella stanza con noi, seduti sulla scrivania. Guardavano Loredana e la punzecchiavano per fare arrivare da lei anche Distrazione e Mancanza di memoria.
Chiesi a Loredana quanto spazio occupavano i due bambini discoli nella sua vita da studentessa: L’80 per cento dello studio di Loredana era ormai colonizzato dai due bambini discoli, ma lei voleva uno spazio tutto per sé, per almeno un 40%!
Allora, insieme, decidemmo di accompagnare i due bambini discoli fuori la porta. Ci alzammo, la aprimmo, e indicammo la strada ai due bambini discoli, affinché ci facessero continuare, almeno oggi, senza di loro.
Chiudemmo la porta.
E Puuf! Spariti i due bambini discoli, io e Loredana iniziammo a dedicarci alla ripetizione del programma con concentrazione e memoria.
Pensi che siamo due pazze? Ahinoi, potresti aver ragione. Ma la buona notizia è che ciò dipende da che punto di vista ci osservi.
Infatti, se guardi dal punto di vista delle psicologie non strutturaliste, ho utilizzato il questioning, l’inquiry e l’esternalizzazione per ridare a Loredana “la sensazione di avere il potere” nella sua vita e non di essere una persona problematica che non riesce a concentrarsi perché è un soggetto ansioso.
Le psicologie non strutturaliste, la cui cornice teorica la spiego qui, si fondano su un paradigma che va al di là di quello modernista il quale materializza la psiche con un insieme di strutture date, precise e individuabili. Al contrario, per i paradigmi non strutturalisti, non solo ogni persona dà significato alle proprie esperienze in modo squisitamente soggettivo, ma soprattutto la persona non è vista come problematica in sé, in quanto il problema assume una valenza esterna, contestualizzabile e soprattutto gestibile!
Loredana riuscì, volta dopo volta a riavere sempre più spazio per sé, lasciando ai due bambini discoli solo l’opportunità di dissolversi!
Ah! Tra qualche settimana festeggiamo la laurea! 🙂
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