Come studiare senza studiare: La notte porta consiglio…

Autore: Antonietta Caputo
Pubblicato il: 12 Febbraio 2019

Ma è vero?

Dico sempre che il metodo di studio non esiste e con la rubrica riguardo al sonno abbiamo una testimonianza aggiuntiva. Nelle settimane scorse, infatti, abbiamo scomodato il capitolo sonno per spiegare perché non basta un giorno per memorizzare 200 pagine e perchè la deprivazione di sonno ci mette ko.

Oggi chiudiamo il capitolo con un annosa questione: ma questa benedetta notte, lo porta il consiglio si o no?

Risposta veloce: Sì. Il sonno contribuisce alla memoria e a tenere salde, vive e vegete le nostre funzioni mentali, definite esecutive.

C’è anche una risposta lunga ed esaustiva MA…

Facciamo prima un piccolo recap!

Le funzioni esecutive sono un insieme di modalità (o moduli) del nostro cervello e della nostra mente che regolano vari processi cognitivi.

Per farla semplice (ma non riduttiva), le funzioni esecutive sono delle procedure che i nostri neuroni seguono e mettono in atto col fine di pensare, ragionare, decidere, essere attenti, dirigere l’attenzione a una cosa piuttosto che un’altra, fare problem solving.

Proprio su questo ultimo aspetto ci focalizziamo oggi.

L’Arte di risolvere i problemi…

…così viene definito il problem solving, un processo in cui l’imputato principale è il nostro cervello.

In sostanza, dato un problema X, i nostri neuroni si danno da fare per trovare una soluzione accettabile, per passi e procedure.

Potenzialmente di livello sempre crescente, proprio come nei videogiochi, il problem solving ci aiuta a risolvere problemi di tutti i giorni.

Per fare ciò, però, il nostro cervello non segue una strada dritta e lineare (troppo semplice). Piuttosto, spezzetta il problema in varie sotto-aree e tenta di connettere più elementi insieme, con una logica sottostante.

Questa procedura avviene anche nello studio, non solo per decidere quante pagine studiare al giorno, ma anche quando scegliamo cosa memorizzare, quante pagine saltare (senza farci bocciare), etc…

Per farla breve: il problem solving, insieme alle altre funzioni esecutive, è implicato nell’intricato processo di apprendimento.

E la notte che c’entra col problem solving?

Negli anni recenti molte ricerche si sono chieste se la notte portasse davvero consiglio dinanzi ai problemi più disparati.

Inizialmente, la ricerca ha messo in luce che, di solito, i primi tentativi di risoluzione portano ad alte probabilità di fallimento.

Questo avviene perché, a meno che non siamo wonderwoman e uomini super-plusdotati (di cervello), certi problemi hanno necessità di essere capiti prima di essere risolti. E per capirli, sì, un po’ ci dobbiamo sbattere su! Dai.

Inoltre –  e come dice anche una ricerca pubblicata su Frontiers in Human Neuroscience , per essere risolto un problema deve essere scomposto e successivamente ristrutturato, combinandone gli elementi anche in modo creativo.

Qui casca l’asino, cioè il sonno. Perché dormire aiuta questo processo di riorganizzazione chiamando in causa la memoria relazionale (quella che ci aiuta a estrapolare il nocciolo delle situazioni): dormire un sonno notturno regolare incentiva le associazioni neuronali che supportano il lavoro della memoria relazionale e di scomposizione e ricomposizione del problema nella sua risoluzione.

Sì, ma come?

Sembrerebbe che questo processo sia incentivato sia dal sonno REM che nonREM: dopo una lunga diatriba in ambito scientifico, un’altra ricerca pubblicata su Trends in Cognitive Science ha confermato che né l’uno né l’altro stadio di sonno incentivino il problem solving, piuttosto è una rigogliosa sinergia tra i due che ci mette in condizioni di risolvere al meglio i problemi.

Ecco perché si suggerisce di dormire sonni regolari e non frastagliati e spezzettati : perché nel sonno regolare si completano i cicli REM-nonREM! E vai di problem solving.

Comunque, Ragazz*… Dormirci su ci aiuta sul serio! E, a quanto pare, ci permette di studiare anche senza studiare!!! 😉

C’è un però…

“Dormici su, ma solo se è difficile” è così che alcuni ricercatori hanno  intitolato un’articolo scientifico dedicato al sonno e al problem solving:

In sostanza, questi creativi scienziati di scienze cognitive, hanno scoperto che il problem solving viene potenziato dal sonno per problemi che sono difficili.

Attualmente, solo una ricerca sembra sottolineare questo aspetto. In particolare, lo studio rileva che, per difficoltà di “associazioni” tra concetti, il sonno contribuirebbe attraverso la sua sinergia tra REM e nonREM a connettere in maniera più forte alcuni punti chiave del problema. Tale agevolazione sarebbe incentivata da un meccanismo chiamato “spreading attivation”, che in Italia non sappiamo ancora come chiamare. Probabilmente la traduzione più efficace è: “effetto di attivazione diffusa” o “attivazione della diffusione”.

In sostanza, il sonno notturno (e regolare) ci aiuta davvero a unire i puntini e completare i puzzle.

Nello studio universitario questi dati sono preziosissimi:

durante le sessioni una delle prime cose che si sfasa è proprio il nostro ritmo sonno-veglia.

Nelle sessioni di consulenze con studenti è frequente affrontare proprio questa spinosa situazione: studiare fino a notte fonda fa bene? Poi, dopo aver dormito poco, svegliarsi presto al mattino per “marciare” sui libri, è utile?

La mia risposta è NO, niente di più sbagliato!

Il nostro cervello ha bisogno di dormire (e bene) per apprendere al meglio.

Iniziare a stabilire una sana regolarità nei ritmi sonno-veglia può contribuire a una sessione di esami rigogliosa, florida e soddisfacente. Parola di Psy!

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2 righe sull’autore

Sono Psicologa e Psicoterapeuta a Milano e Online.
Nel mio lavoro di consulenza e terapia, aiuto le persone a vivere in modo soddisfacente le loro vite e le relazioni con le persone a cui sono connesse. In consulenza ai metodi di studio, supporto gli studenti universitari nelle loro carriere accademiche calibrando i metodi efficaci individuali ai loro percorsi di studio.

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