Fa figo iniziare gli articoli con una domanda. Da qualche parte, dicono che se accattivi e incuriosisci le persone con un punto interrogativo nel titolo hai una buona percentuale di letture del post.
Ca**ate.
Le persone potranno anche aprire il link, ma se dopo la seconda riga non trovano interesse in ciò che scrivi… sfido chiunque a fare il giro sulle montagne russe delle visualizzazioni.
Comunque, la mia verità è che ero a corto di idee per il titolo. E, come mio solito, risponderò a questa domanda con una risposta – probabilmente – deludente.
Qual è l’ingrediente segreto per superare gli esami all’università?
Non esiste. 🙂
Fatta la prima ammissione di colpa, rapida e non indolore, vorrei direzionare il nostro sguardo da Sherlock Holmes a un altro dettaglio (che però non fa “dettagli”) del processo di studio multifattoriale.
Non c’è l’ingrediente segreto per superare gli esami, ok, ma una ricetta tutta soggettiva, quella sì, esiste.
La sfortuna è che è una ricetta talmente personale che ogni ingrediente va messo q.b. (quanto basta) al singolo studente. Poi c’è qualche ingrediente che qualcuno non metterebbe affatto, come l’ansia, ma quello è un altro piatto… cioè… discorso.
Di cosa parliamo oggi?
Lo studio è un processo multi-fattoriale che nell’epoca modernista è stato prosciugato dal suo essere complesso, diventando una semplice nominalizzazione.
Facciamo un passo indietro. Cos’è una nominalizzazione?
Ti avverto: sto per scomodare la tanto amata-odiata PNL (dicono che anche lei fa figo, tant’è…).
Una nominalizzazione, con le parole di Michael Hall è “l’atto di dare nomi ad azioni o eventi in corso di svolgimento“. Con questo cosa si intende?
Alcuni “nomi” che utilizziamo sono la somma di azioni, intenzioni, competenze, pensieri e idee che vediamo negli eventi. Per semplificare il tutto, il nostro cervello usa dei nomi. Quindi, parliamo di nomi che sostituiscono verbi. Tutte quelle azioni che scandagliate diventano un insieme di tante altre azioni vengono ridotte all’osso in un sostantivo: amare diviene amore, decidere diventa decisione, studiare diventa studio.
Qual è il rischio di questa compressione linguistica? Beh, che non solo assumiamo i connotati di un treno ad alta velocità insensibile allo scorrere lento del tempo… ma che possiamo sentirci in balia di quello che è una cosa statica, anziché sentire di avere il potere di entrare nel processo di un evento e poterne modificare le sembianze in corso di svolgimento.
Non sto parlando di “potere” stile Avengers, anche se lo studiare all’università è per molti una Infinity War. Sto dicendo, piuttosto, che se parliamo di “studiare” anziché di “studio”, si può aprire un ventaglio di opzioni mai viste prima.
Ti faccio un esempio pratico estrapolando una conversazione avuta con uno studente universitario:
- Tutor (T): Cosa ti porta qui oggi?
- Studente (S): Ho problemi con lo studio.
Focalizziamo l’attenzione sulla nominalizzazione.
- T: In che modo il tuo studiare è un problema?
BOOM. Con questa domanda diamo dignità ad un processo soffocato. Diamo il via alla gara delle variabili in gioco. Abbiamo acceso la miccia per una fantastica esplosione di consapevolezza. Vediamo la risposta:
- S: leggo, leggo, leggo e non ricordo mai niente.
Abbiamo una descrizione di un evento in corso di svolgimento. Cioè abbiamo una ridefinizione di un oggetto che diviene processo. Abbiamo posto una domanda che ha allargato di un po’ la mappa della mente dello studente, che ha direzionato la sua attenzione a un’azione, anzi due: leggere e ricordare.
- T: Succede sempre sempre che leggi e non ricordi niente?
- S: Beh, no. Dipende. A volte quando sono particolarmente sotto stress o sotto la data dell’esame… Dipende.
La domanda del tutor ha voluto dipanare e scandagliare un processo diretto di causa-effetto per allargare nuovamente la mappa mentale interpretativa dello studente. E, in effetti, non accade sempre che quando legge non ricorda, ciò avviene solo in determinate situazioni.
- T: In che modo leggere dipende dallo stress?
- S: Eh… se ho la testa nel pallone la lettura ne risente. E’ così.
- T: Così come?
- S: Che la lettura non è efficace quando sto stressato.
- T: In che modo leggere risente della testa nel pallone, in quei momenti di stress?
- S: La verità è che mi riempio io la testa di cose e quindi nel momento di leggere non ci entra più niente.
Al di là del contenuto specifico della conversazione, in quest’altro stralcio notiamo come lo studente ritorna alla nominalizzazione “lettura“. Quando il tutor propone una domanda utile a restituire l’identità di processo al “leggere”, lo studente ha un “insight”, un accesso alla consapevolezza.
A cosa è servito a noi questo piccolo stralcio di conversazione tra tutor e studente? A rispondere a una domanda posta all’inizio, ricordi?
L’ingrediente segreto per superare gli esami non esiste, perché unica è la tua mappa mentale, come la mia, come quella del tuo compagno di studi, come quella di qualunque essere umano al mondo. Noi tutti potremmo avere una percentuale di somiglianze, ma messe insieme non saranno mai una specifica somiglianza univoca… possiamo parlare, al massimo, di un “assomigliare” che non si esaurisce in una fotocopia 3D a colori.
Non c’è una ricetta standard per preparare la torta allo studio, ma abbiamo la possibilità di poter conoscere e sperimentare nel dettaglio ogni ingrediente che entra nel nostro singolo processo del preparare la torta dello studiare.
Tu sei unico e alla tua unicità non si adatta un metodo standard.
0 commenti