Troppi bocconi amari: Psicosomatica del mal di stomaco

Autore: Antonietta Caputo
Pubblicato il: 11 Febbraio 2019

La Psicosomatica

Ti è mai capitato di avere forte mal di testa, mal di spalle, mal di pancia di cui non riuscivi a rintracciarne motivi medici e cause specifiche? Si tratta, spesso, di dolori psicosomatici. La psicosomatica è una branca che studia e spiega le connessioni mente-corpo, con una lente di ingrandimento sui fattori psicologici che si innestano nel corpo e ne provocano dolore.

Cos’è che accade? Spesso, alcune energie psichiche non hanno ancora parola o un accesso alla consapevolezza, quindi si innestano nel corpo dove riescono a trovare un canale comunicativo più “semplice”: alcune spinte emotive vengono espresse nel nostro corpo attraverso dolori, sensazioni corporee o spinte corporee che, se da un lato possono arrecare un certo sollievo, dall’altro possono portare al dolore. Oggi parliamo del Mal di stomaco, un dolore più o meno cronico che arriva a far visita la persona in alcune circostanze specifiche.  .

Psicosomatica del mal di stomaco

Bruciore, nausea, crampi, dolore, pesantezza, lentezza  nel digerire, eruttazioni. Questi sono una serie di sintomi fastidiosi che accompagnano i mal di stomaco psicosomatici. Non è un caso che spesso, in casi di consulenza medica, i professionisti definiscano tale sintomatologia “gastrite da stress” o “mal di pancia da ansia”. Oltre a questa sintomatologia, l’apparato digestivo è spesso preso sotto assedio da dolori e malfunzionamenti psicosomatici che “migrano”, si instaurano quindi mal di stomaco o gastrite, reflusso gastrico, mal di pancia, colite, etc.

Nel Cinquecento, il filosofo Paracelso definiva il nostro stomaco un “alchimista”, spiegandone le funzioni attraverso un’analogia con un processo alchemico definito “Grande Opera”. Tale processo si proponeva di  trarre la “Quintessenza” dagli elementi grezzi della natura, iniziando con uno “stadio di fuoco” che selezionava appunto gli elementi. Allo stesso modo, secondo Paracelso, lo stomaco selezionava i nutrienti dalla materia grezza della realtà. Infatti, ancora oggi lo stomaco è descritto come una parte di noi che accoglie il mondo esterno: attraverso il cibo, esso ingloba “pezzi di realtà” che, successivamente, è chiamato a digerire. In questo modo, lo stomaco trasforma la realtà accolta e la divide: una parte viene eliminata e l’altra assorbita, diventando parte di noi. In sostanza, “lo stomaco costituisce il contenitore di tutto quel che viene dal di fuori e, nello stesso tempo, diviene il “Grande Selezionatore” di questo esterno con cui entriamo in contatto. È in grado di capire se un cibo è adatto a noi (buona digestione), se lo è solo in parte (digestione laboriosa e senso di peso) o se proprio non lo è (nausea, crampi ecc)” *

Significati psicologici associati

Secondo la Psicosomatica, quindi, lo stomaco si fa carico di segnalare quando qualcosa proprio non è digeribile per noi, attraverso i sintomi. Ciò avviene soprattutto quando la situazione difficoltosa non pare avere parola o accesso alla consapevolezza. Come un secondo cervello, lo stomaco è abile a captare anche quanto una certa relazione e/o una data situazione stiano andando contro le nostre modalità “digestive” psicologiche.  Per questo motivo, l’Istituto Italiano di Medicina Psicosomatica lo definisce come un organo corporeo deputato ad esprimere anche lo stato attuale delle nostre relazioni. Infatti, se nei nostri rapporti con gli altri c’è qualcosa che “non riusciamo a digerire”, lo stomaco inizierà a soffrire. In questo senso, l’espressione  “Boccone amaro”che usiamo per riferirci a situazioni che “proprio non ci vanno giù” raccoglie il significato implicito dei sintomi dolorosi e fastidiosi che riguardano lo stomaco.

Secondo alcuni autori*, la gastrite, in particolare, rappresenta una difficoltà ad accettare e digerire tutte assieme alcune realtà che “proprio non vanno giù” ed esprime, talvolta, il desiderio di portare dentro e di incontrare intimamente qualcuno o qualcosa di cui si ha voglia ma che contemporaneamente contiene elementi sentiti come pericolosi e inaccettabili. Se non si riesce a risolvere questi conflitti, si crea una grande frustrazione, che a sua volta dà origine a rabbia e aggressività espresse solo parzialmente. Da un lato, infatti, esprimere la propria contrarietà è potenzialmente pericoloso: l’altra persona potrebbe non accertarci più, rifiutarci o arrabbiarsi con noi. In questo senso, “si trattiene”, cioè si tiene dentro e lì si scarica, sullo stesso stomaco, tutta la tensione accumulata (il succo gastrico che attacca la parete dello stomaco). In sostanza, i sintomi parlano chiaro, lanciando un segnale: il bruciore è il fuoco interiore che arde inespresso; i dolori, spesso in forma di crampo o di pugno, esprimono il disagio per non riuscire a manifestare se stessi in modo pieno; la nausea è un rifiuto della situazione; il vomito è un dichiarato rigetto; l’inappetenza, con la classica chiusura di stomaco, denota l’indisponibilità ad accettare più di quello che già si è accolto; il senso di tensione gastrica indica lo stato di allerta rispetto a essa; la digestione lunga e laboriosa esprime la tenacia, ma anche la difficoltà nell’accettare il cibo-ambiente o cibo-situazione che sono in quel momento fonte di problema; le eruttazioni sono il borbottio e il disappunto che esprimiamo in forma assai tortuosa. *

La cura della parola

Come scrivevo nelle precedenti Rubriche Psy dedicate alla psicosomatica, la scelta dell’antidolorifico e del farmaco può risultare in un paradosso: calmierare il sintomo comporta un ammutolimento del segnale che il dolore sta lanciando, perpretrando in tal modo una situazione che proprio non ci va giù. Se da un lato il farmaco aiuta a calmierare tempestivamente il dolore, dall’altro si ha la necessità di arrivare al nocciolo della questione dando parola e consapevolezza a un segnale somatico, in cui un dolore è un’energia psichica che non avendo parola usa il canale del corpo per essere espressa.


Ci si può porre, ad esempio, alcune domande:

«“C’è una situazione quotidiana lavorativa o relazionale (amicizie, coppia, famiglia) nella quale mi trovo male ma a cui mi sottopongo ugualmente? Riesco a dire di no quando mi vengono fatte richieste che non tollero oppure mi obbligo a “mandar giù tutto”? Nel mio stile di vita ci sono cose che “fanno per me?”».

Riflettere su questi aspetti è fondamentale. E, nei casi in cui non si riesce a dare parola al proprio sintomo, un percorso psicologico è d’elezione: La cura della parola celebra la dimensione comunicativa del sintomo doloroso, per ridargli la sua connotazione psichica consapevole, al fine di diminuire la frequenza del dolore.  In questo senso( la consulenza psicologica mira a trovare un canale espressivo più funzionale alle tensioni emotive accumulate, alle situazioni vissute come conflittuali e “amare”.  Inoltre, con l’accoglienza della persona nella sua totalità mente-corpo, viene identificata una serie di fattori di vita personale e relazionale su cui focalizzare mente e cuore, per placare un dolore somatico che è fondamentalmente espressione di un dolore psichico.

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2 righe sull’autore

Sono Psicologa e Psicoterapeuta a Milano e Online.
Nel mio lavoro di consulenza e terapia, aiuto le persone a vivere in modo soddisfacente le loro vite e le relazioni con le persone a cui sono connesse. In consulenza ai metodi di studio, supporto gli studenti universitari nelle loro carriere accademiche calibrando i metodi efficaci individuali ai loro percorsi di studio.

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